di Giovanni Di Trapani
L’Europa è davvero sulla traiettoria giusta per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) entro il 2030? È una domanda apparentemente semplice, ma che spalanca un ventaglio complesso di implicazioni. Riguarda non solo l’efficacia delle politiche pubbliche adottate a livello comunitario e nazionale, ma la capacità stessa dell’Unione Europea di offrire una visione credibile e trasformativa nel contesto di un ordine globale sempre più instabile e competitivo.
Secondo il Europe Sustainable Development Report 2025, pubblicato dal Sustainable Development Solutions Network (SDSN), l’UE mantiene una posizione di vertice a livello internazionale per performance complessiva sugli SDGs. Tuttavia, i segnali di rallentamento sono evidenti e trasversali: la velocità media di avanzamento si è dimezzata rispetto al triennio pre-pandemico e, in molti ambiti, si osserva una vera e propria stagnazione, quando non una regressione. A meno di cinque anni dalla scadenza fissata dall’Agenda 2030, l’Europa si trova dunque di fronte a un bivio: proseguire nella retorica della sostenibilità o assumerla come fondamento operativo di una nuova legittimazione politica.
Tra i fattori più critici segnalati dal rapporto vi è la persistente distanza tra le diverse regioni d’Europa. Le disuguaglianze tra il Nord Europa e i Paesi candidati all’adesione restano elevate: proiettando i ritmi attuali, sarebbero necessari oltre sessant’anni perché si realizzi una piena convergenza. Anche all’interno dell’Unione, gli squilibri territoriali sono in aumento, in particolare in relazione alla qualità dei servizi pubblici, all’accesso al lavoro e al costo della vita. Il nuovo Leave-No-One-Behind Index[1] documenta un peggioramento nei livelli di povertà abitativa e nella pressione esercitata dalle spese energetiche sulle famiglie più vulnerabili. L’Italia, in questo contesto, presenta una performance contraddittoria. È 15ª su 41 nella classifica generale dell’SDG Index[2] 2025, con 72,3 punti, ma retrocede al 23° posto nel LNOB Index, segnando un valore di 71,6 punti, ben al di sotto delle medie delle economie con cui ambisce a confrontarsi. La frammentazione territoriale, la disoccupazione giovanile e la lentezza della transizione energetica restano nodi strutturali irrisolti.
Al di là della misurazione statistica, il messaggio chiave del rapporto è inequivocabile:
la sostenibilità non può essere raggiunta senza un salto di scala negli investimenti pubblici e nella governance economica dell’Unione.
Il Draghi Report, pubblicato dalla Commissione Europea, stima in almeno 800 miliardi di euro annui il fabbisogno per attuare una vera trasformazione verde e digitale. Risorse che difficilmente potranno essere mobilitate senza un’evoluzione del Quadro Finanziario Pluriennale e, più in generale, senza una revisione dell’architettura fiscale e redistributiva dell’Unione. Nel frattempo, il contesto globale si complica. Oltre 3 miliardi di persone vivono in Paesi che spendono più in interessi sul debito che in sanità ed educazione.
La Conferenza sul Finanziamento allo Sviluppo (FFD4), in programma a Siviglia nel giugno 2025, sarà un passaggio chiave per rilanciare un’agenda finanziaria equa e inclusiva, in cui l’UE possa svolgere un ruolo propulsivo. Ma per farlo, dovrà superare le ambiguità e gli indugi che ancora oggi limitano il proprio potenziale sistemico. Il rapporto dedica ampio spazio anche al tema degli spillover negativi, ovvero agli effetti ambientali e sociali generati fuori dai confini europei attraverso le catene del valore e i flussi commerciali. L’Unione, pur promuovendo standard ambientali elevati al proprio interno, resta uno dei principali importatori di impatti negativi legati a deforestazione, emissioni non compensate e condizioni lavorative non dignitose. L’Italia, in particolare, registra un punteggio di 70,6 nel Spillover Index[3], inferiore alla media UE.
Il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) – meccanismo correttivo introdotto per ridurre la delocalizzazione delle emissioni – rappresenta un primo tentativo di affrontare la questione, ma rischia di essere percepito come misura protezionistica se non accompagnato da strumenti di cooperazione e redistribuzione verso i Paesi in via di sviluppo. In questo senso, la politica commerciale europea deve evolversi da strumento di difesa industriale a leva per la coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile. La traiettoria dell’Europa verso il 2030 non è garantita. Le discontinuità nei progressi, la fragilità fiscale, le disuguaglianze territoriali e le tensioni geopolitiche richiedono una risposta strategica e integrata. Non si tratta solo di rispettare scadenze formali, ma di ridefinire il senso stesso dell’integrazione europea. Gli SDGs, lungi dall’essere un’agenda accessoria, devono diventare l’ossatura del nuovo patto politico e sociale europeo.
La vera sfida è trasformare la leadership normativa dell’UE in leadership trasformativa: capace di orientare investimenti, politiche e società verso un progetto condiviso di benessere equo, resiliente e sostenibile. A meno di cinque anni dalla scadenza dell’Agenda 2030, il tempo dell’attesa è finito. Se l’Europa fallisse nel dare concretezza agli SDGs, non verrebbe meno solo un quadro di riferimento multilaterale: si incrinerebbe la promessa originaria dell’Unione come spazio di dignità, giustizia e solidarietà. E con essa, la credibilità stessa dell’Europa nel mondo multipolare del XXI secolo.
[1] Il Leave No One Behind Index (LNOB Index) è un indicatore composito sviluppato dal Sustainable Development Solutions Network per misurare la capacità dei Paesi di garantire equità e inclusione sociale nella realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Tiene conto di fattori come la povertà, le disuguaglianze, l’accesso ai servizi essenziali e la vulnerabilità dei gruppi marginalizzati, evidenziando quanto ogni società stia riuscendo a non lasciare indietro nessuno, in coerenza con il principio fondante dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
[2] L’SDG Index (Sustainable Development Goals Index) è un indicatore composito elaborato dal Sustainable Development Solutions Network (SDSN) per misurare i progressi dei Paesi nel raggiungimento dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030. Il punteggio, su scala da 0 a 100, riflette la performance complessiva rispetto a ciascun obiettivo, basandosi su dati ufficiali comparabili a livello internazionale.
[3] Lo Spillover Index misura gli impatti ambientali, sociali ed economici che le politiche e i consumi di un Paese generano al di fuori dei suoi confini. Include, ad esempio, le emissioni incorporate nei beni importati, la deforestazione legata al commercio e gli effetti negativi sulle condizioni di lavoro nei Paesi fornitori. È uno strumento chiave per valutare la coerenza internazionale delle strategie di sviluppo sostenibile.
Giovanni DI TRAPANI è Ricercatore III Livello presso l’IRISS-CNR, ha conseguito il Dottorato di Ricerca in “Economia e gestione delle Aziende Pubbliche” presso la Facoltà di Economia dell’Università di Salerno ed è laureato in Economia e Commercio presso la Facoltà di Economia “Federico II” di Napoli.Attualmente in distacco presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri presso la Struttura di supporto del Commissario straordinario del Governo per la bonifica ambientale e rigenerazione urbana del sito di interesse nazionale Bagnoli Coroglio; ha svolto attività di ricerca, a partire dal giugno 2010, nel campo delle Economia e Gestione delle Imprese Assicurative nell’ambito del progetto di ricerca “Innovazione e management dei servizi”; concentrando la propria attività di studio lungo due assi principali: un primo con obiettivi specifici riferiti all’innovazione per lo sviluppo dei servizi assicurativi ed un secondo ascrivibile all’identificazione degli approcci gestionali derivanti dai rischi originati da eventi naturali di tipo catastrofale. Nel recente passato ha svolto, altresì, studi relativi all’individuazione di soluzioni concernenti l’evoluzione dei canali distributivi e del lancio di nuovi servizi market-driven e/o technology-driven. In precedenza, fino al maggio del 2010, ha affrontato le problematiche connesse con il Management del Turismo e dei Beni Culturali, con particolare riferimento alla gestione, fruizione e valorizzazione economica del Patrimonio Culturale. E’ Editor in Chief dalla rivista Journal of Advanced Health Care ed è componente dell’Editorial Board Member in qualità di Reviewer di importanti riviste internazionali, e da dieci anni, è stato Professore a contratto di Statistica Economica e Statistica del Turismo presso l’Università Telematica PEGASO.