Non è solo la più grande car carrier del mondo: la BYD Shenzhen è un segnale tangibile della ridefinizione dei poteri industriali, delle rotte logistiche e degli equilibri strategici tra Cina, America Latina ed Europa.

di Giovanni DI TRAPANI

Quando il 27 aprile 2025 la BYD Shenzhen, imponente nave cargo lunga oltre 219 metri, è salpata dal porto di Taicang, nella provincia cinese di Jiangsu, con oltre 7.000 veicoli elettrificati destinati al Brasile, non si è trattato soltanto del battesimo operativo del più grande car carrier mai costruito. Quel viaggio inaugurale ha avuto il valore simbolico e concreto di una mossa strategica all’interno di una silenziosa ma inarrestabile riconfigurazione dell’ordine economico e geopolitico mondiale.

La BYD Shenzhen è la prima di una nuova classe di navi roll-on/roll-off (RoRo) costruite da China Merchants per la casa automobilistica cinese BYD. Con una capacità di 9.200 veicoli distribuiti su 16 ponti, supera persino le unità della classe Aurora della norvegese Höegh Autoliner e, presto, sarà affiancata da gemelle come la BYD Changsha e la BYD Xi’an. Queste navi non solo portano automobili, ma trasportano sullo scafo l’ambizione cinese di accorciare le distanze, dominare la logistica globale e affermare la propria indipendenza da armatori stranieri.

L’elemento innovativo non risiede unicamente nelle dimensioni – equivalenti a 20 campi da calcio – o nella propulsione duale a GNL e combustibili tradizionali. È nella strategia industriale e infrastrutturale che BYD sta mettendo in campo: un ponte marittimo autosufficiente, pensato per garantire l’export dei propri veicoli elettrici nel mondo, a prescindere dalle rotte convenzionali e dalle pressioni geopolitiche.

Infatti, nel 2024 BYD ha venduto oltre 417.000 veicoli all’estero, di cui circa 76.000 solo in Brasile, con un incremento del 328% su base annua. Un dato ancora più rilevante alla luce del contesto internazionale: dazi imposti dall’Unione Europea, nuove barriere doganali annunciate dagli Stati Uniti, timori crescenti per il dumping industriale. Eppure, invece di arretrare, il colosso cinese rilancia. Costruisce le sue navi, controlla le sue rotte, elude le strozzature delle supply chain globali che hanno messo in crisi l’Occidente nel post-Covid.

Dietro la narrazione della crescita industriale cinese, si muove però una partita più ampia. L’America Latina, e il Brasile in particolare, si stanno sempre più posizionando come terminali privilegiati dell’espansione asiatica, in un’epoca in cui gli Stati Uniti paiono impegnati in una politica commerciale difensiva più che proattiva. È un ribaltamento delle logiche novecentesche della globalizzazione, in cui la logistica era dominio di pochi attori occidentali. Oggi, lo shipping è parte della sovranità economica e BYD lo sa bene.

Le implicazioni per l’Europa sono profonde. La politica industriale e dei trasporti non può più essere pensata separatamente dalla geopolitica dei mari. Non bastano incentivi alla produzione nazionale o misure di contenimento commerciale: è in gioco la capacità di presidiare le rotte, di investire nella navalmeccanica, di costruire filiere logistiche autonome. Altrimenti, il Mediterraneo rischia di diventare solo un mare di transito per flotte che non parlano europeo.

Il caso della BYD Shenzhen è una lezione. Ogni nave che lascia un porto cinese oggi non è solo un vettore commerciale, ma un attore geopolitico. E ogni porto che la accoglie diventa parte di una nuova mappa del potere globale.

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