di Giovanni Di Trapani
Votare ai referendum non è solo un dovere civico: è un atto fondativo della convivenza democratica, un esercizio di responsabilità collettiva che misura la maturità di una comunità politica. L’astensione, invece, rappresenta una forma passiva di rinuncia, che nel caso dei referendum non è priva di conseguenze sistemiche: l’invalidazione della consultazione per mancato raggiungimento del quorum non è un semplice dato statistico, ma il segno tangibile di un corpo elettorale che si disabitua alla partecipazione e smarrisce la consapevolezza della propria sovranità.
L’8 e il 9 giugno prossimi, gli italiani saranno chiamati ad esprimersi su cinque quesiti referendari, che toccano ambiti nevralgici del nostro ordinamento: dal diritto del lavoro alla cittadinanza, dal contratto collettivo alla tutela della persona nei luoghi di produzione. Temi che, ben al di là delle appartenenze ideologiche, interrogano il tessuto stesso del nostro modello sociale ed economico. Ma per far sì che tali interrogativi non restino sospesi nell’aria – vanificati da una partecipazione insufficiente – è indispensabile che ciascun cittadino si assuma l’onere, e l’onore, del voto.
Il dato storico delle affluenze ai referendum abrogativi è eloquente e, insieme, allarmante. Negli anni Ottanta e Novanta, l’adesione popolare a questi strumenti di democrazia diretta si manteneva ben oltre la soglia del 50%: nel 1995, ad esempio, il referendum sul sistema radiotelevisivo registrò un’affluenza del 57,0%; quello sulle trattenute sindacali nel 1999 toccò il 49,6%, sfiorando il quorum. Da allora, tuttavia, si è registrata una progressiva caduta: nel 2009 e nel 2011 l’affluenza tornò sopra il 50% solo grazie a mobilitazioni eccezionali – come nel caso dei quesiti sull’acqua pubblica e sul nucleare – mentre i referendum del 2016 e del 2022 si sono arenati rispettivamente al 65,47% (ma era costituzionale, quindi senza quorum) e al 20,9%, quest’ultimo uno dei minimi storici.
Questi numeri non sono semplici statistiche, ma cartine di tornasole dello stato di salute della nostra democrazia partecipativa. Il dato dell’astensione non misura solo un’assenza: misura una perdita. Perché ogni referendum fallito lascia dietro di sé una ferita nella coscienza pubblica e una disillusione che si sedimenta. Ecco perché l’appello alla partecipazione non può essere lasciato alla sola comunicazione istituzionale: è necessario un impegno diffuso, trasversale, costante, che coinvolga partiti, sindacati, associazioni, scuole, luoghi di lavoro e reti civiche.
Chi come me ha partecipato, negli anni, all’organizzazione delle campagne elettorali e alla strutturazione delle liste – attraversando la fase più travagliata e insieme più generativa della storia recente del socialismo riformista – sa bene che senza una mobilitazione capillare, concreta, fisica, il rischio di fallimento referendario è più che reale. Ma questa volta non è solo il destino di una proposta ad essere in gioco: è, a nostro parere, la tenuta stessa dell’Opposizione e del Partito Democratico. Il referendum si presenta come una prova di tenuta del campo progressista, non tanto in termini propagandistici, quanto in termini di capacità di attivare e mobilitare la società.
I dati dell’affluenza alle ultime elezioni europee, che si è fermata al 48,31% (dato nazionale del 2019), sono un ulteriore segnale allarmante. In alcune regioni del Mezzogiorno – tra cui la Campania – si è scesi ben sotto il 40%, evidenziando una frattura profonda tra istituzioni e cittadini. Ma attenzione: mentre la diserzione delle urne elettorali può essere interpretata – giustamente o meno – come una protesta silenziosa contro una classe dirigente ritenuta inadeguata, l’astensione dal voto referendario è qualcosa di più profondo, e più pericoloso. È il segnale che viene meno la fiducia nella capacità della collettività di autodeterminarsi. È il sintomo di una società che rinuncia a interrogarsi, a decidere, a darsi una direzione.
Da economista e da studioso dei comportamenti collettivi, non posso non sottolineare l’effetto moltiplicatore del disimpegno: ogni rinuncia individuale si somma, si amplifica, si rifrange negli altri. E viceversa: ogni persona che vota – e che sprona altri a votare – può innescare una reazione virtuosa, un contagio positivo, una riattivazione della coscienza civica. Per questo, oggi più che mai, occorre tornare a “bussare alle porte”, anche simbolicamente. È il tempo dell’impegno concreto, dell’incontro diretto, della parola scambiata e dell’invito personale. Dobbiamo ricostruire quella trama minuta della partecipazione democratica che solo il contatto umano può generare.
La scheda elettorale è uno strumento fragile e potente al tempo stesso. Dimenticarla in un cassetto, in nome del disincanto o dell’indifferenza, significa lasciare che siano altri – o il vuoto – a decidere. E se è vero che non c’è democrazia senza fiducia, allora il referendum è il banco di prova più esigente: perché ci obbliga a credere non in un leader o in un partito, ma in noi stessi. Ed è questa la sfida decisiva che ci attende: ricostruire, con il voto, il senso di una cittadinanza vigile, consapevole e protagonista.
Giovanni DI TRAPANI è Ricercatore III Livello presso l’IRISS-CNR, ha conseguito il Dottorato di Ricerca in “Economia e gestione delle Aziende Pubbliche” presso la Facoltà di Economia dell’Università di Salerno ed è laureato in Economia e Commercio presso la Facoltà di Economia “Federico II” di Napoli.Attualmente in distacco presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri presso la Struttura di supporto del Commissario straordinario del Governo per la bonifica ambientale e rigenerazione urbana del sito di interesse nazionale Bagnoli Coroglio; ha svolto attività di ricerca, a partire dal giugno 2010, nel campo delle Economia e Gestione delle Imprese Assicurative nell’ambito del progetto di ricerca “Innovazione e management dei servizi”; concentrando la propria attività di studio lungo due assi principali: un primo con obiettivi specifici riferiti all’innovazione per lo sviluppo dei servizi assicurativi ed un secondo ascrivibile all’identificazione degli approcci gestionali derivanti dai rischi originati da eventi naturali di tipo catastrofale. Nel recente passato ha svolto, altresì, studi relativi all’individuazione di soluzioni concernenti l’evoluzione dei canali distributivi e del lancio di nuovi servizi market-driven e/o technology-driven. In precedenza, fino al maggio del 2010, ha affrontato le problematiche connesse con il Management del Turismo e dei Beni Culturali, con particolare riferimento alla gestione, fruizione e valorizzazione economica del Patrimonio Culturale. E’ Editor in Chief dalla rivista Journal of Advanced Health Care ed è componente dell’Editorial Board Member in qualità di Reviewer di importanti riviste internazionali, e da dieci anni, è stato Professore a contratto di Statistica Economica e Statistica del Turismo presso l’Università Telematica PEGASO.
Concordo pienamente. Ho sempre partecipato e incentivato a partecipare ai referendum cosi’ come alle elezioni. Secondo me è un dovere di ogni cittadino responsabile.
Non posso che concordare
Partecipare ai referendum è dovere di ogni cittadino
Certamente è un dovere di ogni cittadino e quindi mi auguro che tutti i cittadini vadano a votare
Vedremo quanto il popolo “santificato” sia capace di autodeterminarsi o di spegnersi rinunciando deliberatamente a pensare, consegnandosi pericolosamente e bovinamente al padrone di turno.